Queen+, ovvero lo spettacolo può andare avanti


Quella mattina Brian era agitato come mai gli era capitato prima di allora. Continuava a muoversi su e giù per la stanza con le mani affondate nelle tasche, aggrappandosi agli spiccioli quasi fossero un salvagente. Nel frattempo provava a tenere impegnata la mente scorrendo i numerosi dischi d'oro e di platino appesi alle pareti. Ai vasi giapponesi invece e alle tante suppellettili ordinate con gusto sui mobili non era mai riuscito ad interessarsi. Molto meglio concentrarsi sulla musica, del resto era arrivato a casa di Freddie per discutere di una nuova canzone. Adesso quasi se ne pentiva e a disturbarlo più di tutto era il fatto che negli ultimi anni quella situazione si era ripetuta una infinità di volte senza che ciò lo rendesse così teso. Ma stavolta era diverso e temeva il responso dell'amico.


Come diavolo mi è venuto in mente di proporgli un testo del genere, continuava a ripetersi Brian, l'orecchio teso verso i suoni della casa. Da qualche tempo Freddie ci metteva parecchio tempo ad accogliere gli ospiti. Una volta Jim gli aveva spiegato che alzarsi dal letto poteva costargli fatica. Brian non sopportava quella condizione e faceva di tutto per concedere a Fred tutta la privacy di cui aveva bisogno. Era un patto tacito, sorto spontaneamente quando l'amico aveva rivelato al resto della band di essersi ammalato. Da allora molte cose erano cambiate e il futuro aveva perso quei contorni netti sui quali Brian aveva spesso fatto riferimento per affrontare la vita. Forse anche per questo era nata quella canzone. Serviva una speranza e la musica era l'unica via per ottenerla.

“Ho aggiunto qualcosa qui e là mio caro”. Freddie fece il suo ingresso in sala con indosso una vestaglia di raso che riusciva a celare solo in parte la profonda magrezza in cui ormai versava.
“Ero convinto mi avresti mandato al diavolo”, replicò accomodandosi sul divano finalmente più rilassato. “Sai, The Show Must Go On è un titolo forte”.
“Volevi dire indelicato data la mia situazione”. Freddie come al solito riusciva a sorprenderlo. Parlava delle sue condizioni con una noncuranza che a volte gli instillava il dubbio che non ne comprendesse la reale portata. “Invece è un titolo perfetto,” proseguì Freddie scorrendo con lo sguardo gli stessi dischi su cui pochi attimi prima si era soffermato Brian. “E' la prima regola dello spettacolo. Andare avanti, sempre e comunque. Altrimenti perché nelle opere sono previsti i sostituti?”
A quelle parole Brian non sapeva bene come replicare. Freddie stava davvero parlando di un sostituto? L'idea di un altro cantante nei Queen era inconcepibile. Se detta da Freddie addirittura un'autentica pazzia.
“Naturalmente,” concluse Fred dopo essersi voltato per lanciare all'amico un sorriso carico di ironia mista ad arroganza, “Io non sono sostituibile. E adesso basta chiacchiere, abbiamo un testo da finire”.

Brian May, così come molti fans tra i più esperti, hanno sempre confermato che il testo di The Show Must Go On fu scritto a quattro mani con Freddie Mercury, sebbene quest'ultimo si sia limitato a delle aggiunte per completare l'opera. Il pezzo nacque in quella fase della vita e della carriera di Freddie in cui il suo motto era “scrivete tutto quello che vi pare, io lo canterò fino alla fine”. L'idea di raccontare quella regola fondamentale del mondo dello spettacolo fu spiazzante per i chitarrista, che pur essendone autore deve aver nutrito molti dubbi sulla volontà di Freddie di volersi cimentare con una storia che, sebbene non sua, sembrava calzargli alla perfezione. Ma forse il cantante riuscì ad offrire a questa canzone una delle prestazioni vocali più belle di sempre proprio per il trasporto che sentiva. Credo che in un certo senso Freddie abbia provato autentica gioia nel cantare un tema così personale ma visto con gli occhi di un altro. È la libertà che dà il dover semplicemente interpretare qualcosa che ti appartiene solo in parte e che devi condividere con l'autore. Convivono il distacco e la profondità del sentire ciò che il testo trasmette, senza però il peso di dover esporre al mondo i propri pensieri.

The Show Must Go On fu probabilmente anche il filtro attraverso cui sono passate molte delle decisioni dei Queen dopo il 1991, quasi che quel titolo fosse divenuto una sorta di imperativo a cui affidarsi per non far morire del tutto una band che Brian e Roger sentivano e sentono viva e vitale. Una prospettiva che non entusiasma milioni di fans, legati ai Queen delle origini e che rifiutano qualsiasi progetto che non preveda la voce di Freddie e la presenza di John Deacon. E in effetti, pochi giorni fa, lo stesso Brian May ha confidato dal suo sito che provare a riproporre i Queen senza una metà così importante è complicato e per certi versi impossibile. Ma è un tema che si ripropone ogni qual volta il fatidico “pulsante” viene premuto e si torna a parlare dei Queen, con l'aggiunta di quel “più” che a molti pare invece una sottrazione più che un'aggiunta.

Eppure i Queen+ sono ormai una realtà consolidata e parlarne non è tabù. Si potrebbe dire che siamo di fronte ad una nuova band che di tanto in tanto si ripropone al pubblico, cercando di catturare l'attenzione dei vecchi fans ma anche quella degli ascoltatori più giovani che i Queen non hanno fatto in tempo a viverli negli anni d'oro. Ma per esprimere un giudizio su questa incarnazione, non posso esimermi dal dire che....Freddie Mercury non è in alcun modo rimpiazzabile e lo stesso vale per John Deacon. Senza di loro i Queen non saranno mai gli stessi. Bene, sgombrato il campo dall'ovvio, proviamo ad andare oltre un orizzonte così limitato. Parliamo dei Queen+ e proviamo a capire perché funzionano.

Brian May e Roger Taylor sono il nucleo essenziale che ha determinato la nascita dei Queen, soprattutto dal punto di vista sonoro. Non ci credete? Allora non avete mai ascoltato gli Smile. In quelle tracce così rudimentali c'era già l'anima dei Queen e sebbene si trattasse di un diamante assai grezzo, riusciva già a brillare di una luce propria impossibile da ignorare.

Brian May è stato l'elemento portante di tutto il sound dei Queen per almeno due ragioni: il suo modo di suonare la chitarra è talmente particolare da essere riconoscibile tra milioni e questo ha finito col marchiare letteralmente gli album della band in un modo unico e paragonabile all'impatto della voce di Freddie. In sala di registrazione era preciso, maniacale e attento ad ogni dettaglio. A lui si devono gli esperimenti con le sovra-incisioni che hanno fatto la fortuna dei Queen e hanno ispirato gli altri componenti della band, oltre che conquistato le platee di tutto il mondo. Del resto il simbolo per antonomasia del rock è proprio la chitarra e anche se al giorno d'oggi sentire un assolo in una canzone è merce rarissima, negli anni '70 era un “dovere” mostrare al mondo le proprie capacità con le sei corde. Si potrebbe dire chel'essenza del rock è tutta racchiusa in questo strumento. In più Brian è sempre stato un autore di altissimo livello, capace di spaziare tra i generi come pochi musicisti sanno fare. E anche questa è una caratteristica così tipicamente Queen da costituirne un tratto essenziale.

Negli anni '80 Freddie perse indubbiamente quelle verve autorale che lo aveva contraddistinto nella decade precedente. Certo non mancano canzoni straordinario come The Miracle o Life Is Real, ma è fuor di dubbio che in quegli anni scelse di auto-relegarsi al ruolo di cantante, cedendo la penna dei Queen agli altri tre membri del gruppo. Non a caso quello fu il periodo in cui la band ottenne i maggiori successi (di sempre!) grazie a John Deacon (con Another One Bites The Dust e I Want To Break Free) e Roger Taylor (Radio Ga Ga e A Kind Of Magic). È come se a un certo punto del loro percorso artistico gli equilibri interni dei Queen fossero mutati fino a trovare un nuovo bilanciamento e soprattutto nuovi ruoli e spazi differenti rispetto al passato. Un meccanismo questo che ha poi consentito la realizzazione di progetti altrimenti impossibili come Made in Heaven, No-One But You e The Cosmos Rocks e che permetterà tra non molto tempo di ascoltare canzoni rimaste finora inedite.

Nei Queen non c'è mai stata una sola anima. A dirlo erano loro stessi. Ognuno è sempre stato in grado di offrire il proprio contributo, sempre in modo determinante e utile al successo del gruppo. È qualcosa di raro e per questo di difficile comprensione (e anche spiegarlo, me ne rendo conto mentre scrivo queste parole, è impresa ardua). Sta di fatto che quando Brian e Roger tornano sul palco il passato riemerge dalle nebbie e si mescola in modo sublime con una sensibilità per forza di cose nuova e diversa. È, detto in una parola, una forma di alchimia. Avete presente no? C'è il mago col suo pentolone che ribolle di misteriosi ingredienti che, per una specie di magia, si combinano fino a generare l'oro. Forse nemmeno il suo autore riesce a comprenderne il funzionamento fino in fondo. Ma sa che funziona e tanto gli basta.

È per tutte queste ragioni che oggi attendo con trepidazione il ritorno dei Queen sul palco di Las Vegas per gli iHeart Radio Music Festival. Con loro ci sarà Adam Lambert, che non potrà mai essere la scelta perfetta ma che sta imparando anche a calarsi in una realtà così complessa, enorme. Soprattutto ci saranno Brian May e Roger Taylor. Non due tipi piovuti per caso nella storia dei Queen, ma coloro che la storia di questa band l'hanno resa possibile.