Una notte all'opera con Brian May e Kerry Ellis all'Arena di Verona


Si dice che portare in Italia la musica di qualità sia una missione difficile, addirittura impossibile. A discapito della fama di “paese del bel canto”, la nostra penisola sembra soffrire di una strana sindrome per cui, ogni volta che c'è la possibilità di produrre qualcosa di bello e intenso dal punto di vista culturale, tutto diventa complicato, insidioso.

Nel corso degli anni abbiamo assistito al progressivo smantellamento della cultura nazionale, a vantaggio di una esterofilia che impoverisce invece di arricchire. Non un panorama esaltante dunque. Eppure le eccezioni accadono e sono il frutto dell'impegno di chi ama anzitutto l'arte e crede che anche l'Italia possa essere il terreno fertile per fare musica di qualità. Proprio per questo, voglio iniziare il mio commento alla serata di ieri tributando complimenti e stima a Paolo Bonolis e a tutti coloro che hanno reso possibile la performance di Brian May e Kerry Ellis.

La cornice unica dell'Arena di Verona ha rappresentato anche per noi che eravamo in differita di fronte alla televisione uno spettacolo che resterà ancora una volta un segno indelebile, l'ennesima conferma di quanto la musica dei Queen sia portatrice un'emozione senza fine, merito soprattutto di Brian May.

Da anni ormai il timido chitarrista si è fatto carico di essere un frontman atipico, ben diverso da Freddie Mercury ovviamente, ma anche assai lontano dall'esuberanza di Adam Lambert. Brian non è un musicista che conquista il palco con pose esagerate e facili ammiccamenti e basta vederlo percorrere i pochi metri che lo separano dalla ribalta per comprendere che il suo tratto distintivo è l'umiltà.

Cammina con passo sicuro ma a testa quasi china, come se volesse evitare il primo impatto con il pubblico. Non è paura la sua, ma piuttosto la consapevolezza di quanto grande sia la responsabilità che si porta addosso ogni volta che imbraccia la sua Red Special.

Perché Brian May è oggi più che mai la musica dei Queen, anche quando Roger Taylor resta a casa e Adam Lambert gira il mondo per promuovere il suo nuovo album. È un fatto di immagine, di rappresentazione scenica, quasi che la figura di Brian May sia capace di evocare immediatamente in chi lo guarda la band al completo.

Tempo fa scrissi che la musica dal vivo merita di essere raccontata da chi ha assistito allo spettacolo. Non intendo sottrarmi a questa regola e (spero presto), lascerò che sia un'altra voce a raccontarvi da queste pagine l'emozione vissuta all'Arena di Verona. Eppure qualcosa può essere detta, ancora una volta col cuore e lo sguardo del fan eternamente innamorato.

Perché non è possibile sfuggire a suggestioni come Who Wants To Live Forever e soprattutto No-One But You, capace di incidere letteralmente la carne, ma solo per farne scaturire la consapevolezza che no, per tutti noi, Freddie non è andato via. Una suggestione quest'ultima che si rinnova con la gioia che emana da Somebody To Love e la forza di We Will Rock You e che trova, infine, la sua perfetta sublimazione in una Bohemian Rhapsody da brividi, costruita andando a pescare a piene mani nel suo tessuto più classico, ma senza dimenticare le sonorità rock tipiche degli anni Settanta.

Allo stesso modo non si può non esprimere ammirazione per Kerry Ellis, le cui doti canore non possono più essere messe indiscussione al di là dei gusti personali e la cui presenza scenica regala sempre gioia, perché il suo modo di cantare è fatto di sorrisi oltre che di armonie e vocalizzi.

Talmente brava da aver tenuto testa, spesso addirittura guidandolo, il comunque bravo tenore Vittorio Grigolo, che ha regalato una performance assai orientata al rock. Non so quanto i puristi dell'opera possano apprezzarlo, ma in un contesto come quello visto a Verona è stata la scelta giusta, al netto di qualche errore che magari non è passato inosservato ai fans, ma che è stato presto perdonato.

A Paolo Bonolis (che pure ha sbagliato il nome di Kerry Ellis al momento della presentazione) e al suo staff va, dunque, il merito di aver rischiato con una formula forse non del tutto nuova (la commistione tra rock, pop e opera è diventata, anzi, piuttosto usuale), che tuttavia ha saggiamente preservato gli aspetti e i temi salienti della musica classica ed operistica in particolare, disegnando momento dopo momento un vero proprio percorso, la cui meta è stata la conferma che, in realtà, classificazioni, generi e stili provengono tutti dallo stesso luogo. È uno spazio, una sorta di intercapedine fissa nel cuore dell'ascoltatore. Si chiama emozione e all'Arena di Verona quella più grande è stata regalata ancora una volta da una leggenda come Brian May.