Made in Heaven dei Queen compie 20 anni


Nel 1995 la ferita per la perdita di Freddie Mercury me la portavo ancora ostinatamente addosso, pronta a bruciare tutte le volte che ascoltavo una canzone dei Queen, tanto da essermi convinto che la loro musica, da cornice ideale per i momenti gioiosi o elemento di forza per quelli più complessi, si fosse irrimediabilmente trasformata in una persistente nostalgia. Il cuore a 19 anni può diventare maledettamente pesante quando devi confrontarti con l'ingiustizia della morte, soprattutto se sei un fan che ha legato in qualche modo la propria esistenza a un gruppo musicale che improvvisamente non esiste più. Naturalmente all'epoca non sapevo ancora che proprio dai Queen e dalla voce di Freddie sarebbe iniziata la guarigione.


Accadde la mattina del 6 novembre. Rivedo tutto perfettamente, come se il ricordo di quella giornata fosse una proiezione su un grande telo bianco. C'era il sole (proprio come oggi) e nello stomaco un grumo di impazienza mentre stringevo tra le dita il biglietto su cui il negoziante di dischi aveva stampato la mia prenotazione di Made in Heaven, il “nuovo album dei Queen”. Mi ero rigirato quella frase nella mente per mesi, quasi fosse un vino pregiato da rimestare in bocca prima di lasciarlo scivolare in gola (ma naturalmente all'epoca a mi saranno venuti in mente altri paragoni ormai dimenticati). Nel frattempo avevo stemperato l'impazienza di averlo tra le mani ascoltando all'infinito il singolo di Heaven For Everyone. Quel pezzo mi aveva letteralmente spaccato a metà: da un lato non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione della perdita e dell'assenza, nonostante la voce di Freddie in quel brano fosse così brillante, tangibile; dall'altro attendevo con ansia di scoprire se il nuovo (e ultimo) album dei Queen avrebbe rappresentato un viaggio musicale fatto di dolore o, come successo per i precedenti, di autentica gioia e forza. Con la loro musica ho sempre avuto un rapporto viscerale, ai limiti della carnalità. Ero fatto così e naturalmente lo sono ancora oggi, nonostante i continui tentativi della vita di rendermi più pacato e razionale a discapito della passione e dell'istintività.

Quando alla fine ho ricevuto la mia copia (quel giorno in negozio c'era una piccola fila di acquirenti tutti pronti a sventolare il prima possibile la propria prenotazione) sono corso a casa, pronto ad affrontare ogni dubbio. Di per sé, già nutrire dei sospetti su un disco dei Queen mi appariva inaccettabile, una prevaricazione del mio diritto di essere un fan felice. Io alla musica dei Queen mi affidavo completamente e l'ascolto delle loro canzoni era come il balzo ad occhi chiusi del trapezista che alla fine incontra sempre la mano sicura del proprio partner. Con Made in Heaven invece c'era da fare un nuovo e inaspettato salto nel vuoto. Per questo mi preparai a dovere una volta giunto a casa. Dopo aver pranzato mi sistemai accanto al mobile con l'impianto stereo, infilai le cuffie, di quelle che ti avvolgono completamente in un bozzolo nel quale nulla del mondo circostante riesce a penetrare e osservai le mie dita avviare il play del lettore cd.

Cosa accadde dopo i primi secondi? Quali furono le sensazioni, gli effetti sulla mia stessa anima? La parola che mi viene in mente, quella capace di riassumere tutte le emozioni è “riconciliazione”. Si, perché dopo il grande dolore, Made in Heaven rappresentò non solo il ritorno ma anche la permanenza dello spirito di Freddie. È il disco dei Queen che più di tutti non è confinato in un determinato periodo, quasi che le canzoni che lo compongono siano senza tempo. Una percezione resa più acuta dalle scelte sonore operate da Brian, Roger e John che hanno voluto conferire a questo disco un'atmosfera assai diversa dai loro precedenti lavori, quasi che il titolo sia più di un simbolo applicato sulla copertina e costituisca una vera e propria dichiarazione d'intenti.

Ogni canzone dell'album si fece amare fin dal primo ascolto, sorprendendomi nota dopo nota anche quando si trattava di un pezzo già sentito in versioni differenti. Soprattutto non c'erano la sofferenza e la nostalgia che, pur presente, non faceva davvero male ma, piuttosto, mi avvolse in un bozzo confortevole nel quale la voce di Freddie fu una guida, una inarrestabile forza vitale. Perché Made in Heaven non è l'album dell'addio e non credo di averlo mai davvero considerato come la chiusura del cerchio. Mi è sempre parso come un regalo inaspettato, come una lettera ritrovata in fondo ad un cassetto che rivela parole che temevi non avresti più sentito. Mi piacque tutto di questo disco, compresa la sorpresa di quella lunga traccia finale che racconta la vita di Freddie evocandone i momenti salienti attraversi suoni ed effetti. Fu una scelta diversa, totalmente al di fuori degli schemi più classici degli album dei Queen e proprio per questo capace di colpire con ancora più forza.

Ma Made in Heaven ha il pregio di funzionare al di là del suo contenuto sentimentale, questo lo capivi canzone dopo canzone già al momento del primo ascolto. Non è un disco auto-referenziale né un tributo, ma un album dei Queen a tutti gli effetti ed è questa la sua caratteristica più importante. Si dice che Freddie fece di tutto per portare a termine quante più canzoni possibili, proprio per offrire ai suoi compagni di avventura e ai fans un ultimo cammino musicale da fare assieme, come se l'imposizione dettata da The Show Must Go On non potesse restare sospesa negli echi finali del pezzo, ma meritasse davvero una prosecuzione. Per certi versi, se la carriera dei Queen si fosse conclusa proprio con Innuendo, nessuno avrebbe potuto lamentare lacune o imperfezioni nella loro discografia. Quale chiosa migliore di una canzone che invita ad andare avanti proprio quando sai che per te il tempo ha deciso di non aspettare oltre? Ma Freddie non era un'artista convenzionale e il suo sguardo aveva il dono di saper guardare anche oltre i limiti appena raggiunti. Con questo spirito riuscì a non soffermarsi su capolavori come Bohemian Rhapsody e fu sempre pronto a sperimentare ancora, a non fermarsi mai, nemmeno quando il successo pareva aver toccato la vetta più alta.

Made in Heaven è l'esatta incarnazione di quello spirito mai domo, di quella voglia di osare e mettere tutto in discussione un attimo dopo aver conquistato un nuovo traguardo. Per questo l'album doveva essere realizzato, affinché The Show Must Go On non restasse una promessa delusa. È grazie a quel disco che i Queen oggi esistono ancora, perché nel momento di massimo dolore rese possibile l'esistenza della band nonostante tutto. L'assenza fu tramutata in musica persistente, non un semplice messaggio dal passato ma un'incarnazione destinata a durare per sempre.

A me, in quei momenti, non restò che arrivare alla fine del disco, per poi sentirlo ancora e ancora e infine riporlo accanto agli altri, col cuore gonfio di una rinnovata gioia, sempre a disposizione per un nuovo ascolto, proprio come sto facendo in questo momento. E mentre metto assieme i miei pensieri, lo spirito immortale di Freddie Mercury canta come mai fatto prima e mi fa sorridere. Si, lo spettacolo è andato avanti e oggi, dopo vent'anni, la musica dei Queen è ancora la compagna più fedele che io abbia mai avuto.


@Last_Horizon