L'affaire Freddie Mercury biopic. Una riflessione sul film


Come avete letto sul Blog (l'articolo lo trovate QUI), Sacha Baron Cohen è tornato a parlare del biopic dedicato a Freddie Mercury, un progetto al momento in stand-by e al quale l'attore ha lungamente preso parte lavorando dietro le quinte. Poi, per sua scelta (secondo lui) o per decisione dei Queen (stando alle parole della band), le strade si sono divise e il film oltre ad essersi apparentemente arenato, ha anche preso una forma diversa con la scrittura di una nuova sceneggiatura e la scelta di un nuovo attore protagonista (Ben Winshaw).


Fin qui niente di nuovo, né di straordinario. La storia del cinema è piena di idee appena abbozzate, altre abbandonate in divenire. Ancora maggiore è il numero di incomprensioni che hanno determinato la fuoriuscita di attori, registi, sceneggiatori e produttori. Solo che finora avevamo conosciuto il punto di vista dei Queen e di Brian May in particolare. Adesso invece abbiamo a disposizione le parole di Cohen che (ovviamente) ci offrono una versione dei fatti sostanzialmente differente.

Ripercorrendo la travagliata storia di questo biopic (ma forse sarebbe più opportuno parlare di “idea di film”), sappiamo che a un certo punto Brian May e Roger Taylor non hanno visto di buon occhio almeno un paio di aspetti con i quali Cohen avrebbe voluto caratterizzare il progetto: un'impronta troppo orientata alla commedia e un'eccessiva preponderanza della sua personalità (o immagine, se preferite) rispetto al ruolo da interpretare. Restando alle parole dei Queen, si correva il rischio che sullo schermo si vedesse Cohen che interpreta Freddie e non Freddie stesso.

A ben vedere questa è la questione più annosa che ruota attorno a un film biografico. È difficile (ma non impossibile) trovare un attore capace di mettere in scena un personaggio realmente vissuto con tale efficacia da “scomparire” dallo schermo, perdendo per certi versi i propri connotati fisici. Se volete un (ottimo) esempio, pensate al film The Doors: si potrebbe quasi dire che sullo schermo c'era davvero Jim Morrison e non un attore. Altro esempio efficace, il film The Queen, in cui la straordinaria Helen Mirren ha portato in scena una Regina Elisabetta a dir poco (in)credibile. Poi ci sono i casi in cui la non eccessiva somiglianza tra attore e personaggio viene egregiamente sopperita con un'interpretazione magistrale. Potrebbe essere il caso di Morgan Freeman nei panni di Nelson Mandela in Invictus.

Sia come sia, Brian e Roger hanno scelto (in qualità di produttori esecutivi del film e di “proprietari” della loro storia artistica) di cambiare strada, non ritenendo Cohen adatto al ruolo. In più hanno anche deciso di stralciare la sceneggiatura di Peter Morgan che, come noto, avrebbe focalizzato la storia sul biennio 1984/1985. Morgan non è uno scrittore agiografico, ma è alla costante ricerca di quei momenti di rottura nei quali (almeno secondo la sua visione) ognuno di noi rivela la propria natura. Basti pensare a The Queen, incentrato sul periodo della morte di Lady Diana, nel quale la Regina d'Inghilterra fu oggetto di aspre critiche. Nel caso dell'altra Regina, Morgan aveva pensato di raccontare i contrasti interni alla band, la temporanea fuoriuscita di Freddie con il proprio progetto solista, gli eccessi di quella particolare fase della sua vita e, infine, la trionfale salita sul palco del Live Aid. Una buona storia, non c'è che dire.

Eppure, limitare la sceneggiatura a quel dato momento sarebbe stato, dal mio punto di vista di fan inevitabilmente interessato, fin troppo riduttivo. Tenendo ben presente che esistono già degli ottimi documentari che hanno raccontato tanto la vita di Freddie quanto la storia dei Queen, c'è da chiedersi cosa possa offrire in più un biopic. Non l'intera vicenda artistica a mio avviso, perché condensare in un paio d'ore una storia durata vent'anni rischierebbe di produrre un'opera minimalista, un bignami cinematografico di cui davvero non si sente il bisogno.

Due, a mio avviso, i momenti di interesse cinematografico nella vita di Freddie (tenendo ben presente che, essendo legata a doppio filo a quella dei Queen e quindi anche alle vicende di John, Roger e Brian, da questi ultimi non si può prescindere): gli inizi, perché anche per un pubblico generalista può essere interessante (e avvincente) seguire le peripezie, le difficoltà e il trionfo finale di un'artista, in una sorta di percorso “dagli stracci alla rapsodia” (tanto per citare il recente documentario della bbc); oppure la fine, quando la vicenda umana di Freddie è divenuta tragica e leggendaria, dolente ma anche gigantesca.

Ecco quindi che si rivela l'errore di fondo commesso da Cohen: quando afferma che “nessuno vorrà vedere un film in cui il protagonista muore a metà film” dimostra di non essere entrato nello spirito dei Queen e di non aver colto la storia del gruppo. Potremmo dire che Cohen appartiene a quella schiera di fans (non so quanto ampia) che ritiene i Queen la band di Freddie Mercury e non con Freddie. È una differenza sottile ma determinante. Sceglierne l'una piuttosto che l'altra significa porsi in una prospettiva assai differente, con risultati cinematografici disastrosi perché non corrispondenti alla realtà.

Ma nemmeno i Queen possono dirsi al momento esenti da errori. L'essere troppo coinvolti in un progetto al quale non sono “abituati” può indurre scelte e valutazioni errate. Soprattutto si corre il rischio di mettere in scena una narrazione edulcorata e auto-indulgente. Sappiamo attraverso le dichiarazioni di Brian e Roger, che da parte loro non c'è (o non ci sarebbe) alcuna intenzione di raccontare gli ultimi anni di vita di Freddie. È comprensibile: si tratta della volontà di mantenere ancora alta quella privacy a cui tutti e quattro i membri dei Queen scelsero volontariamente di aderire per amore e rispetto dell'amico. In più è un modo per mettere in risalto l'artista, l'unico aspetto che al pubblico dovrebbe interessare.

Tuttavia la fine è proprio il momento più importante per la storia dei Queen e per i destini dei suoi componenti: da quel tragico novembre del 1991 si sono dipanate delle storie, delle emozioni, una ridda infinita di variabili ha preso a funzionare conducendo le vite di Brian, Roger e John in direzioni assai differenti da quelle che loro stessi si sarebbero aspettati. La stessa immagine di Freddie è mutata, trasfigurata in quella leggenda che oggi tutti sono in grado di riconoscere ed ha assunto il ruolo di simbolo per la lotta all'aids. Non è un aspetto da sottovalutare, a patto che si trovino davvero le persone giuste per farne una trasposizione cinematografica capace di essere rispettosa ma anche profonda.

Naturalmente il mestiere di fare cinema non mi compete e, come tutti, non potrò che restare in attesa di conoscere cosa accadrà attorno al biopic. Al momento trovo le argomentazioni di Cohen fin troppo di parte (e non del tutto approfondite) e quelle dei Queen ancora non sufficientemente spogliate del coinvolgimento da cui è necessario prendere le dovute distanze, un po' come accade con le canzoni, dalle quali il musicista deve staccarsi per consegnarle alla casa discografica, pena il rimaneggiarle in un ciclo infinito e senza sbocchi. Magari, ciò che Brian e Roger (e John, i cui poteri decisionali sono ancora intatti) dovrebbero sottoporre se stessi ad una riflessione sull'interrogativo che già molti fans si sono posti: fare un film sulla vita di Freddie Mercury e sui Queen è davvero necessario?


@Last_Horizon