Recensione Journey's End. Il viaggio di Roger Taylor non è finito


Roger Taylor ha smesso da tempo i panni della rock star contornata da belle donne e auto sportive. Al loro posto ha scelto la famiglia, i tatuaggi e i lunghi tour con i Queen + Adam Lambert. Complice una certa idiosincrasia nei confronti della vita social, nonostante sia stato il primo artista ad esibirsi in diretta streaming (il suo Live at Cyberbarn gli ha fruttato anche un titolo da Guinness dei Primati), è raro vederlo esibirsi al di fuori della sua band e ancor meno in feste di cantante solista.

La sua ultima fatica discografica risale al 2013. Fun On Earth è stato visto da molti come il capitolo conclusivo di un'avventura solista iniziata già a metà degli anni '70 e proseguita attraverso una manciata di album (da solo o con i The Cross) e un buon numero di esibizioni live.

La pubblicazione di Journey's End ha dunque segnato un ritorno piuttosto inaspettato, anticipato con un paio di enigmatici video e un hashtag che ha spinto qualcuno a ritenere che si trattasse della colonna sonora di un film. Non era un'ipotesi troppo lontana dal vero. Grazie alla moglie Sarina Potgieter, Roger è entrato nel mondo del cinema producendo la colonna sonora del film Solitary (una delle pellicole indipendenti più premiate degli ultimi anni) e attualmente dovrebbe essere al lavoro sulla soundtrack del film The Wind Of Heaven. Se a questo si somma il grande interesse nutrito dai Queen verso il grande schermo, non si poteva davvero escludere che Journey's End avesse a che fare proprio con il mondo del cinema.

La risposta è stata una sorta via di mezzo, perché Journey's End non è propriamente un singolo ma, piuttosto, un cortometraggio della durata di circa 7 minuti attraverso il quale Roger riflette sul senso della mortalità e sulla natura dell'esistenza, che il batterista vede come un lungo viaggio dotato, per sua natura, di un'inevitabile epilogo. È una visione fatalista a cui nessuno può sottrarsi, soprattutto se per vent'anni hai fatto parte della più grande band del mondo e improvvisamente il destino ti sottrae l'amico più grande, interrompendo un viaggio che, complice la giovane età, consideravi forse senza fine.

Ma Journey's End tutto è, fuorché un commiato dalla propria vita da musicista. Roger lo spiega chiaramente nel comunicato stampa che ha accompagnato la pubblicazione su iTunes di questo nuovo progetto. I Queen stanno godendo ormai da diversi anni di una sorprendente seconda vita e grazie al nuovo percorso intrapreso con Brian May e Adam Lambert, Roger considera il viaggio della vita ancora in divenire, almeno finché la gente vorrà ascoltare i Queen nella dimensione live che si sono costruiti negli ultimi anni.

Suuperiore nella durata addirittura a Bohemian Rhapsody e Innuendo, Journey's End è completamente fuori dai canoni estetici a cui Roger ci ha abituato, tanto nei Queen quanto nella sua carriera solista. Il batterista si è da tempo addentrato in nuove sonorità fortemente legate al post rock, tanto da essere stato avvistato ai concerti dei Sigur Ros, band svedese che rappresenta forse il vertice più alto di questo genere assieme ai Mogwai. Journey's End risente fortemente di questi nuovi interessi musicali e ci restituisce un Roger inaspettatamente delicato e riflessivo, fortemente ispirato dalla morte di Freddie Mercury e da quelle più recenti di David Bowie e George Michael. La costruzione finale più che ricordare un classico brano del repertorio del batterista, somiglia ad una corrente sonora da cui Roger si è lasciato trasportare per approdare ad una visione più intima e onirica.

Basta guardare il cortometraggio per rendersene conto. Le immagini sono crepuscolari e a dominare sono la notte e il sogno. Roger si muove lentamente tra una scena e l'altra e sembra quasi attraversare idealmente tutte le stagioni della sua vita. Ci sono le scogliere della Cornovaglia e le strade di Truro che lo conducono verso la Cattedrale dove da ragazzino cantava nel coro di voci bianche. Qui, tra le navate gotiche, prende forma una danza misteriosa, interpretata da sua moglie Sarina e dall'autore della coreografia Flavio De Brito. Difficile offrirne un'interpretazione univoca, ma la sensazione è che possa essere la rappresentazione di un “last dance”, quell'ultimo, inaspettato ballo che Roger si è concesso proprio quando sembrava impossibile poter ripartire. O, più semplicemente, è l'eterna danza in cui vita e morte sono impegnate in un abbraccio senza tempo.

Volevo che fosse qualcosa di abbastanza contemplativo, onirico, un pezzo che raccontasse qualcosa della mia anima”, ha spiegato. “Ha un'atmosfera piuttosto fatalista e stravagante. È fondamentalmente un pensiero sulla mortalità, una sorta di accettazione del fatto questo è un viaggio e che, in quanto tale, prima o poi giungerà al termine. Tutti i suoni che ho utilizzato rimandano a questo concetto, come se tutto tendesse verso quell'inevitabile traguardo finale.”

Diretto da Stuart Brennan e prodotto da Sarina Potgieter, Journey's End può davvero essere considerato come il lavoro più metafisico realizzato finora da Roger Taylor. Non un canto del cigno ma piuttosto il segno di una maturità conclamata, attraverso la quale il musicista ha deciso di esplorare nuovi territori musicali e visivi. Per tutta la durata del cortometraggio, Roger non mostra mai il volto e si muove a rallentatore tra figure quasi evanescenti. Anche gli ambienti sembrano alterati rispetto alla normalità della realtà, come se il punto di vista obliquo del sognatore abbia finito con il distorcere la natura stessa degli oggetti e degli ambienti.

Suggestiva poi la trasformazione di un lungo pontile affacciato sul mare in una lunga schiera di chitarre. Appartengono alla collezione dello stesso Roger e sono la perfetta rappresentazione di una vita donata alla musica (anche se appare stridente l'assenza del suo strumento naturale, la batteria) che nel video conducono il musicista a sorvolare le vette di antiche montagne. Si tratta a tutti gli effetti di una citazione cinematografica del film Lost Horizon di Frank Capra. La storia del film a questo punto si confonde con le atmosfere del cortometraggio. Narra di una misteriosa comunità che vive abbarbicata sull'Himalaya, custodi gelosi della porta che conduce nello Shangri-La, la città perfetta, forse l'ultimo avamposto che ci attende alla fine del viaggio.

Eppure, quando il brano si conclude e le immagini sfumano accompagnate dal coro finale, la sensazione che resta addosso non è di resa nei confronti della vita. Journey's End non è davvero l'ultimo capitolo, ma semmai una stazione intermedia dove soffermarsi sul senso delle cose e puntare lo sguardo verso il prossimo orizzonte da attraversare. Perché dopo aver visto questo cortometraggio credo che anche voi, come me, penserete che questa nuova strada musicale può davvero portare lontano.

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Journeys' End:

Roger Taylor (voce, pianoforte, tastiere, chitarra e basso)
Joshua J Macrae (tastiere aggiuntive)
Jason Falloon (chitarra aggiuntiva)

Sarina Taylor Potgieter (produzione, ballerina)
Flavio De Brito (coreografie, ballerino)
Stuart Brennan (regia)


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